Giorgio Colomba

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Tutti gli spuntini

Nessuno può dirsi immune dall'invidia; è già molto, tuttavia, espropriarla della sua capacità di azione, evitando di assecondarla con le opere ogni qual volta se ne presenta l'occasione. Avremo dunque un'invidia di piccolo cabotaggio, che se da un lato ci consente di mondarci la coscienza nella consapevolezza di non esserci adoperati per il male del prossimo, dall'altro non ci priva della facoltà di gioirne.

Qualunque atto di cortesia usiamo nei confronti del prossimo, è quasi esclusivamente in funzione del sorriso di riconoscenza che, il più delle volte, ne scaturirà. L'effettivo beneficio che il nostro gesto può sortire per gli altri, spesso è incidentale, comunque di marginale importanza per noi.
Fin dal primo mattino di ogni giorno abbiamo necessità di apprezzamento a basso costo per i nostri comportamenti. Se avessimo la certezza che la signora o l'anziano cui stiamo per cedere il passo, non ci sorrideranno per ringraziarci, non useremmo loro alcuna cortesia.

Lamentarsi se altri stanno meglio di noi non è moralmente lecito; bisogna accontentarsi e pensare a quelli che stanno peggio: anche gioire delle disgrazie altrui è una virtù.

La disponibilità a riconoscere i propri errori non è mai un valore assoluto, bensì consegue e muta rispetto a due variabili indipendenti che sono la natura dell'errore e (soprattutto) quella dell'interlocutore.

Chi possiede il talento, ma non la spregiudicatezza, l'ambizione, a volte il cinismo per capitalizzarlo al fine di arrivare, è comunque colpevole di tale mancanza, ma per questo paga sempre un prezzo troppo alto rispetto a quello che di solito viene richiesto a colui che, ambizioso, spregiudicato, cinico, ma povero di talento, riesce ad arrivare.

A volte dal male comune non arriva alcun gaudio, ma un'ulteriore sofferenza: quella di non potersi concedere la voluttà sottile dell'autocommiserazione, conseguente al ritenersi depositario esclusivo del dolore.

Si dice che la speranza è sempre l'ultima a morire perché noi la precederemo.

Anziché la classifica dei libri più venduti, semplice da redigere, ma culturalmente inattendibile almeno quanto commercialmente pertinente, si dovrebbe poter stilare quella dei libri più letti.

Spesso ci si arrovella più per compiacere il facoltoso che per fare un piacere al bisognoso.

Rileggere i libri per la seconda volta è molto più redditizio: non si perde più tempo a scartare quelli che avrebbero potuto fare a meno di essere scritti.

Guardiamoci dalla gente poco dabbene. E Iddio ci guardi dai nostri giudizi su di loro.

La cultura è l'unico modo per arricchirsi di esperienza senza averne l'età.

L'esatta misura di un piacere si evince non dalle fallaci valutazioni esprimibili contestualmente alla sua esperienza, bensì dalla percezione subitanea ed inequivoca del disagio che consegue ad una sua coartata, repentina, inattesa cessazione.

L'uomo della strada ed il cosiddetto VIP sono sottoposti ai medesimi condizionamenti: cambia solo il livello dei referenti che glieli impongono.

Nelle quotidiane relazioni sociali, a rendere possibile l'esistenza del cosiddetto 'furbo' non è tanto la solo ipotetica, primigenia volontà di gabbare il prossimo, quanto il timore di essere noi gabbati da questi. Si gioca d'anticipo una partita che in un consesso autenticamente civile non dovrebbe mai avere luogo.

Massime, pensieri e aforismi non richiedono di essere compresi. La loro unica funzione è disvelare una verità che non ci appare manifesta a causa della spiccata desuetudine alla riflessione ormai intrinseca alla nostra quotidiana esistenza.

Chissà se un uomo ricco prova più disagio davanti ad un povero, piuttosto che al cospetto di uno più ricco di lui.

Il distacco è la vera metafora della vita. Piccoli e grandi commiati scandiscono ogni risvolto della nostra esistenza. Il distacco è cessazione, rottura di un rapporto che è comunque intercorso tra noi e qualcuno o qualcosa o entrambi. In forza di ciò è assai più significativo rispetto all'incontro, pur a questo legato da un rapporto di consequenzialità. L'incontro è molto più defilato; al massimo può essere preludio, oppure cesura tra il niente esistente prima e quanto eventualmente ne potrà seguire. Il distacco è sempre preceduto da qualcosa; ad un incontro, invece, spesso segue il nulla.

Come la luna gira intorno alla terra mostrando sempre la stessa faccia, così gli uomini girano intorno l'un l'altro in un perenne movimento di rivoluzione che ne cristallizza gli angoli visuali. Ma più che ad una sfera, l'animo umano andrebbe assimilato ad un poliedro dalle mille sfaccettature che, ad onta dei suoi innumerevoli assi di rotazione, solo raramente riesce ad assecondare con spontaneità la fisiologica predisposizione a tale movimento.

L'uomo di talento che si duole perché la propria donna si dimostra incapace di coglierne ed apprezzarne la portata, dovrebbe invece rallegrarsi di essere comunque amato, nonostante la deminutio di opinione che, pur fallacemente, ella ha di lui.

La più grande pena dell'essere lasciati non è nell'atto in sé, quanto nella consapevolezza che chi ci ha abbandonato presto sarà partner di qualcun altro. Non già la perdita per noi, quindi, quanto la certezza del possesso da parte di altri è ciò che ci procura il cruccio maggiore.

Ogni uomo nasce vocato al perdono. Tuttavia è invariabilmente destinato a smarrirne la propensione a causa dei molteplici condizionamenti socio-culturali dell'esistenza, precipua espressione dei quali è il timore che tale gesto possa venire interpretato da chi ne è destinatario come una larvata ammissione delle responsabilità di chi lo compie, quando non - peggio - una manifestazione della sua pavidità; di colui, cioè, che pur non negandole, mostra di peritarsi troppo nel far valere le proprie ragioni.

Quando si dice "grazie per il momento", non è chiaro se si intenda "per ora la ringrazio, presto mi sdebiterò", oppure "grazie per quanto ha fatto fino ad ora, adesso mi attendo faccia il resto".

Una società in cui la gente, d'estate ed in pieno giorno, è costretta a parcheggiare l'automobile chiudendo tutti i finestrini, non può definirsi civile.

Pensare di poter redarguire chi sbaglia è quasi sempre di per sé un errore. Dolo a parte, la sola buona fede di chi lo compie non automatizza la capacità di capire l'errore commesso, né la disponibilità ad ammetterlo verso chi glielo ha fatto notare, tanto meno l'accondiscendenza a scusarsene con chi ne ha patito le conseguenze.

Una volta c'erano gli scienziati, i letterati, gli artisti che scoprivano, componevano, creavano; oggi c'è il giornalista che, a forza di parlare con essi e di essi, ne assurge a dignità e ci ammannisce i suoi libri di scienza, letteratura, arte.

Pensiero del passante, riferendosi al "vu cumprà" che, seduto per terra, offre pacchiane imitazioni di marchi famosi: "Poveraccio, disposto a tutto pur di vendere quella paccottiglia!".
Pensiero del "vu cumprà", riferendosi ai passanti che acquistano: "Poveracci, disposti a comprare questa paccottiglia pur di vendere il cervello all'ammasso".

Mai quanto nel comportamento umano la teoria sulle antinomie logiche si rivela di una fondatezza e di un valore assoluti; poniamo un uomo medio alla guida della sua auto media, in lento transito lungo una strada principale; disponendo della facoltà di favorire o meno l'inserimento di una fuoriserie proveniente da una via secondaria, può comportarsi in due modi diametralmente opposti, ancorché entrambi inoppugnabilmente motivati: in un caso, cederà volentieri il passo alla grossa auto, ben sapendo che questo rimarrà uno dei rari momenti in cui egli ha avuto possibilità di compiacere - ottenendo immediata riconoscenza ed a sua volta compiacendosi di questa - una persona altrimenti 'destinata' a non aver mai bisogno di lui.
Nell'altro caso, invece, negherà recisamente la strada alla fuoriserie, perché anche questo rimarrà uno dei rari momenti in cui egli ha potuto esercitare una superiorità virtuale nei confronti di una persona alla quale è manifestamente inferiore per status sociale e parimenti 'destinata' a non aver mai bisogno di lui.

Molte volte ci ritroviamo a parlare bene di qualcuno al solo scopo di indurre nell'occasionale interlocutore il convincimento circa la nostra bonomia verso il prossimo, compiacendoci della valutazione positiva su di noi che inevitabilmente ne conseguirà.

La povertà di linguaggio dell'italiano medio è, oltre che sconfortante, in netto contrasto con la ricchezza di vocaboli della nostra lingua. I casi sono due: o la gente non legge, dunque non consulterà mai il dizionario per apprendere il significato di parole nelle quali non ha avuto modo di imbattersi; oppure legge, ma al cospetto di un termine sconosciuto passa inopportunamente oltre, con buona pace per la comprensione del testo. Tra i due nolenti l'ignoranza gode.

Non è ipocrisia propugnare una rigorosa osservanza della forma, poiché essa è vera sostanza molto più spesso di quanto non si creda. Esistenze intere trascorrono all'insegna di rapporti sociali che, per loro stessa natura, sono destinati a non spingersi mai più in là di una mera correttezza formale: il vicinato, i colleghi di lavoro, l'associazionismo più disparato. Negare l'importanza delle convenzioni sociali, annettendone invece al malvezzo di dire sempre e comunque ciò che si pensa, è vera impostura, grazie alla quale rischieremmo un conflitto al giorno.

Resistere ad una tentazione può essere impossibile - per dirla con Wilde - ma anche molto facile. Tutto dipende dalla visibilità del contesto ove tale tentazione sopravviene, ossia dal numero - e natura - delle persone al cui giudizio finirebbe col soggiacere nella circostanza il nostro comportamento.
Se nel privato la cedevolezza è padrona assoluta, l'àmbito pubblico ci consente di attingere alle inesauribili risorse dell'orgoglio - sentimento le cui emozioni ineriscono sì alla sfera più intima, ma che dalle relazioni interpersonali trae la sua precipua ragion d'essere e soprattutto tentazione suprema alla quale dobbiamo invariabilmente cedere per poster resistere a qualsiasi altra - altresì permettendoci di ostentare la privazione di cui in quel momento ci rendiamo pubblici protagonisti: con il piacere dell'esibizionismo surroghiamo quello, mancato, del soddisfare la tentazione alla quale non abbiamo voluto cedere.

Uno dei grandi dilemmi dell'esistenza umana è il dover decidere se per giudicare un uomo ci si debba attenere alla stretta analisi oggettiva del suo operato, oppure se - ma soprattutto quanto - tali risultanze debbano essere modulate riconducendole alla sua estrazione antropografico-culturale. Ovvero quanto sia da imputare alla molteplicità dei pregressi fattori che, suo malgrado, l'hanno determinata. Valutare quanto l'espressione del libero arbitrio di ogni singolo individuo sia veramente tale ed in che misura, invece, inconsapevolmente indotta, è essenziale al fine di commisurare azione dolosa e colposa nella proporzione più equa, evitando tuttavia ogni estremizzazione del concetto, che rischierebbe di legittimare inammissibili criteri di non punibilità ad personam.

Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Ed ancor più perdona chi, pur sapendo, fa lo stesso.

E' più riprovevole considerare il sesso un fine od un mezzo?

Di solito è meno tollerabile il pur sbiadito ricordo di un antico successo, che il non averlo mai raggiunto, perché la sofferenza è maggiore per colui nel quale lo stato di grazia cessa, che per chi non vi è mai vissuto.

La provocazione evangelica è troppo incredibile per non essere vera. Se si fosse inteso propalare una menzogna, avrebbe dovuto essere configurata in modo molto più verosimile.

La riprovevolezza dell'invidia è inversamente proporzionale al divario di status esistente tra colui che la prova e chi ne è destinatario, maggiormente se la precarietà del primo travalica la sua colpa e/o l'agio del secondo ne supera i meriti.

Il valore di una azione non sempre è un dato assoluto, ma risiede nella soggettività del sacrificio di chi la compie.

E' quasi immorale indugiare nel compiacerci della gioia manifestata dal questuante a cui abbiamo elemosinato mezzo euro.

A volte la colpa è peggio del dolo: chi ci rende nervosi al solo guardarlo non avrà mai possibilità di redenzione rispetto a chi ci irrita volutamente.

L'uomo si preoccupa sempre molto degli amori che la propria donna ha avuto prima di conoscerlo affinché non gli rimanga tempo di pensare a quelli che avrà dopo...

Una donna non solo non riesce a concepire che qualche uomo non la desideri, ma pretende pure di poter decidere quelli da cui non vorrebbe essere desiderata.

Ogni donna è talmente impegnata a trascorrere la propria vita in una personale competizione con tutte le altre da riuscire spesso a non vincere neppure con se stessa.

Un noto regista d'oltreoceano disse una volta che "Le donne si concedono per riuscire a fare le attrici, mentre gli uomini fanno gli attori per riuscire a trovare donne che si concedano loro". A parte la obiettivamente diversa difficoltà di accesso ai due differenti mezzi di cui gli uni e le altre si servono per il raggiungimento dei rispettivi fini, c'è da convenire che noi maschi siamo decisamente più fortunati: a qualcuno, ogni tanto, capita pure di riuscire a possedere una donna senza essere un attore.

La donna è quello strano esemplare che da tutti gli uomini viene prima squadrato, osservato, analizzato, giudicato e poi finalmente sceglie.

Alle tante donne che si dolgono perché, a parità di preparazione, debbono dimostrare qualcosa in più degli uomini per fare carriera, rammento la sofferenza di quei moltissimi uomini che, a parità d'impreparazione, non hanno nulla di alternativo da poter offrire.

Incontrare dopo tanti anni le donne dalle quali si è stati respinti in gioventù fornisce l'esatta e gratificante percezione del tremendo rischio a cui, nostro malgrado, siamo fortunatamente scampati.

La donna bella e/o ricca - ancora a proposito di antinomie - ti respinge perché questa è una delle tante occasioni di cui dispone per riprovare il sottile piacere - che non procura assuefazione, ma dipendenza - dell'imporre ad un uomo quella superiorità che la natura e/o le congiunture le hanno concesso; la donna non bella e/o di modesta estrazione sociale, invece, ti respinge perché questa è una delle rare opportunità concessale per poter provare un'analoga, sottile gratifica nella temporanea illusione di quella superiorità che natura e/o congiuntura le hanno negato.

Guardarmi allo specchio e vedere che sto invecchiando perché il mio volto assomiglia sempre più a quello del mio povero babbo sarebbe niente se non fossi costretto ad analoga constatazione guardando il viso di mia moglie.

Oggi la donna non è più considerata un oggetto del desiderio maschile; la parità sessuale con l'uomo è finalmente cosa fatta. Ora, però, resta da raggiungere quella tra donna e donna: legioni di racchie sono già pronte a scendere in piazza per rivendicare finalmente anche a loro il diritto di subire, se non una vera violenza, perlomeno qualche morbosa attenzione maschile.

L'uomo di talento che si duole perché la propria donna si dimostra incapace di coglierne ed apprezzarne la portata, dovrebbe invece rallegrarsi di essere comunque amato, nonostante la deminutio di opinione che ella ha di lui.

Uno sguardo troppo audace può recare offesa ad una donna. Mai quanto ignorarla.

Le tante donne che cambiano spesso uomo perché non riescono mai a trovare quello giusto, e soffrono (o, come disse qualcuno, s'offrono) per questo, dovrebbero provare la sofferenza dei molti uomini che non riescono mai a trovare la donna giusta solo perché non ce n'è una che dica loro "sì".

Le donne, in genere, sono troppo impegnate a guardare che qualcuno le guardi per guardare chi le guarda (epigrafe dell'avvenenza maschile).

Una donna non si sognerebbe mai di usare violenza ad un uomo, pur particolarmente attraente: troppa la differenza di educazione, di cultura, di sensibilità. Ma soprattutto di forza fisica.

Dicono che le donne siano vanitose perché sostano a lungo davanti alle vetrine dei negozi; non è vero, almeno la metà di loro non ha la minima intenzione di comprare: si sta solo specchiando.

La donna che respinge un uomo non ritenendolo alla sua altezza - pensando, cioè, di poter pretendere di più - dovrebbe valutare meglio per accertarsi di quante altre donne più all'altezza di lei potrebbero essere pretese da quello stesso uomo. Resta il dubbio se la donna difetti totalmente di senso autocritico oppure sia molto più spudorata di quanto intenda sembrare.

La vita di una donna è sempre estremamente faticosa: belletti, mises, coiffeuses, griffes; tutto per essere sempre e comunque à la page; e quell'ostentato fingere di non guardarsi intorno, avvertendo (o sperando) di essere comunque al centro dell'attenzione. Non baratterei mai le pur oggettive difficoltà che un uomo deve superare per riuscire a sedurre una donna, con l'oneroso impegno che questa deve costantemente profondere per farsi trovare sempre pronta ad essere sedotta.

Una donna viziosa è peggiore di un uomo vizioso. Una virtuosa, lo è molto di più.

Le donne, forse inconsciamente, auspicano sempre che un uomo non attui ciò che loro vorrebbero facesse. Un po' come quel docente che intimamente si augura che un allievo sbagli per compiacersi nel redarguirlo. In caso contrario, il risentimento è quasi automatico poiché esse, antropologicamente, annettono maggiore importanza alla delusione per il mancato riscontro del loro vaticinio, che alla gratifica derivante dal soddisfacimento - sperato, ma non previsto - del loro desiderio.

E' potenzialmente malvagio chi, consapevole che favorire od ostacolare il suo prossimo in una determinata circostanza gli comporterà il medesimo sforzo (o nessuno sforzo) - ovvero che gli risulterà persino più faticoso intralciarlo - predilige ugualmente quest'ultima opzione.

Spesso l'esercizio del volontariato, qualunque sia il livello, risponde più ad una (non necessariamente consapevole) vocazione esibizionistica che ad un autentico e meditato spirito di servizio.

Nel porgersi di una donna, labilissimo è il confine tra la sensualità e il ridicolo.

Non c'è alterigia peggiore di quella conseguente all'autocompiacimento del presumersi più umile e modesto degli altri.

Che un'azienda non riconosca i meriti di un sottoposto capace è frustrante per la persona, ma non percepire la differenza quando quella persona manca è pericoloso per l'azienda.

Al cospetto di una persona importante, qualunque ne sia l'ambito, non è chiaro se debba essere il mondo a doverle gratitudine perché essa e le sue opere esistono, o sia essa a dover ringraziare il mondo per aver "scelto" di concedere proprio a lei quelle opportunità che le hanno permesso di emergere e delle quali altri, di pari o perfino superiore talento, non hanno potuto giovarsi.

L'autentica sobrietà non risiede nel disconoscere il possesso di particolari doti, ma nell'accettare di vivere come se se ne fosse privi.

"Me ne assumo ogni responsabilità": ricorrente formuletta verbale le cui implicazioni pratiche svaniscono magicamente all'atto stesso della pronuncia. Una pubblica ammissione di colpa, meglio se enfatizzata, diviene così la pena omnicomprensiva che consente di affrancarsi dal fastidioso orpello di un doveroso, quanto fattivo sobbarcarsi del danno procurato.

Il talento privo di buona volontà non abilita moralmente a giudicare l'opera della buona volontà priva di talento.

Il rincrescimento che siamo soliti ostentare nei confronti del malcostume dilagante, imputato ovviamente agli altri, dissimula in realtà l'intimo, ancorché indebito compiacimento che ci deriva dall'illusoria convinzione di essere depositari e paladini di integrità.

Bello/brutto, buono/cattivo sono categorie estremamente ricorrenti nelle nostre valutazioni, ma mai compiutamente significative. Ogni volta che ci troviamo a formulare un apprezzamento su qualcosa o qualcuno, ad un primo e manifesto giudizio, espresso secondo le citate aggettivazioni, segue un responso più riflessivo, che scaturisce dall'intimo e riconduce ad un dualismo connesso all'unico parametro di valutazione che ci è profondamente, quanto inconsapevolmente peculiare, oggettivo nella sua estrema soggettività: la ns. personale aspettativa tra migliore o peggiore.
Guardiamoci dunque dalla fallacia del giudicare buono un cibo o bella una persona, ancorché siano al di sotto di quanto ci saremmo attesi.

La raggiunta, piena consapevolezza di sé è l'unica realtà che ci consente di riuscire ad accettare l'indesiderato, però ineluttabile avvicendamento tra i frutti acerbi, ma passionali della giovinezza e quelli fin troppo stagionati della maturità.

Non per quel che ha, né per ciò che è, ma solo in ragione di cosa fa, come lo fa e per chi, va giudicato l'uomo.

Le virtù sono figlie più del timore di essere scoperti ed eventualmente puniti - in caso di inosservanza - che di un'autentica e spontanea rettitudine morale.

L'autentico egoismo si evince più dalle piccole cose di ogni giorno, che nelle congiunture eclatanti: procura danni modesti a chi lo subisce ed ancor più scarsi vantaggi a chi lo esercita, ma proprio per questo è concettualmente più grave

E' più intollerabile esercitare una professione modesta consci di essere altrettanto, o di non esserlo?

Politica: impara l'arte di mettere da parte

Politico: disimpara l'arte di mettersi da parte

Troppe donne sembrano non comprendere che uno sguardo può essere attratto dalla bellezza come dal ridicolo.

L'inconsapevolezza del superfluo è molto più facile da accettare che il non disporne più

Esistono individui nei quali non attecchisce mai il germe del dubbio, il cui vezzo è l'emissione di sentenze tanto perentorie, quanto lontane dalla verità.

L'incommensurabile forbice tra l'attrattiva esercitata da una donna al culmine della giovinezza ed il disagio indotto dalla visione della sua avvenenza sfiorita, è una consapevolezza che ad un uomo risulterebbe insostenibile.

Gli uomini si dividono in due grandi categorie: quelli che pensano di dover imparare ancora tutto e quelli che ritengono di poter insegnare sempre tutto.

C'è sempre un gran bisogno di chi ha più bisogno.

Pensar male del prossimo è niente: il grave è ferirlo rendendoglielo noto con le parole e/o con le opere.

C'è assai differenza tra chi pecca dolendosene e chi compiacendosene: circostanza, quest'ultima, forse più grave del peccato stesso.

Il peggior dramma della politica è la pervicacia di chi sostiene le idee sbagliate e la tiepidezza di chi propugna quelle giuste.

Per fare il bene del prossimo è più meritorio ricorrere al proprio talento oppure, se il medesimo scopo lo esigesse, rinunciarvi?

Di là da ogni ipocrisia, il vero discrimine nella condotta umana non è tra chi una determinata azione malvagia vorrebbe perpetrarla e chi invece sostiene di non poterla neppure concepire, ma tra chi tale pulsione la rintuzza e chi al contrario le cede

Transitori e non motivati sussulti di generosità sono spesso sintomatici di uno stabile, ma altrettanto ingiustificato complesso di superiorità

E' più deplorevole compiacersi di ostentare una fede non vera o vergognarsi nel professare quella autentica?

Per la salute della propria coscienza, è più nocivo conseguire lucro millantando con successo capacità inesistenti, oppure compiacersi dell'effettivo possesso, ancorché non proficuo, di competenze reali?

Esistono due tipi di esibizionismo: l'esibizionismo puro e la modestia esibita.

Nella donna sfrontata, la bellezza ne affila le armi; in quella timorata, le smussa.

Il merito è del tutto inutile senza un interlocutore dotato sia della competenza per individuarlo, che della facoltà, volontà e disinteresse personale nel renderlo proficuo per chi lo esprime.

Peggio dell'ipocrisia c'è solo l'abbaglio di ritenerla sempre e del tutto inutile.

Rimorsismo: neologismo che designa l'epifenomeno della contrizione nella quale inizia ad indugiare il tafazziano parco di buoi che ha sempre votato a sinistra - permettendo lo sfascio del Paese - ed ora se ne pente.

Medicina ufficiale: scienza (in)esatta alla cui sempre maggiore acribia diagnostica segue invariabilmente una sempre uguale inefficacia terapeutica.

E' proprio vero che gli errori si pagano. Specie quelli altrui

In un mondo che rifugge dalla meritocrazia, l'unica (magra) consolazione resta stupire il prossimo praticando certe attività per hobby meglio di chi le esercita per professione.

Alla fine, il rimorso di chi ha sempre egoisticamente perseguito i propri interessi è meno penoso del rimpianto di chi si è sempre nobilmente prodigato per quelli altrui.

Preferisco il costante disagio per le cose che vanno sistematicamente storte rispetto ai sensi di colpa di quando episodicamente gira tutto per il verso giusto.

Successo è quando il talento incontra l'opportunità" . Fortuna è conoscere qualcuno che combini l'appuntamento.

Grande è la collera dei miti". Soprattutto verso se stessi, per la costitutiva, frustrante incapacità di esercitarla nei confronti degli altri.

La bellezza in un uomo intelligente è un valore aggiunto; l'intelligenza in una donna bella è un valore sottratto."

Esistono tre tipologie di invidia: quella che si professa intimamente, quella che si confessa pubblicamente, quella che si manifesta operativamente.

Ho sempre avvertito il dovere di prodigarmi per meritare l'apprezzamento di chi mi chiedeva una mano